Nell’intervento precedente avevamo affrontato le basi dell’interazione fra la materia e la radiazione elettromagnetica classificabile come “luce”, sia essa ultravioletta o nel campo del visibile, allo scopo di illustrare le ragioni per le quali alcune molecole, e di conseguenza gli oggetti che ne sono ricchi, possonoa su mere una colorazione specifica.
Parallelamente avevamo introdotto il concetto di ossidazione a carico del carbonio inserito all’interno di molecole organiche, un caso che si differenzia e risulta più complesso da intendere rispetto al concetto di ossidazione al quale eravamo abituati in ambito inorganico, parlando per esempio di metalli.
La domanda dalla quale eravamo partiti sembrava all’apparenza semplice, ma in realtà solo ora siamo realmente nelle condizioni di rispondere correttamente ad essa: perché un prodotto organico, magari di origine biologica come una parte di una pianta, ad esempio un frutto, ma persino un alimento, degradandosi nel tempo tende solitamente a scurirsi e/o ad intensificare l’intensità della sua colorazione, fino in taluni casi a “colorarsi” anche quando inizialmente non era presente alcuna tonalità specifica?
A livello del tutto generale possiamo osservare che lo spostamento della banda di assorbimento della radiazione elettromagnetica della luce avviene in direzione di lunghezze d’onda maggiori (in primo luogo dall’UV al visibile, e secondariamente all’interno del visibile dal viola in direzione del rosso) in relazione all’estensione dell’area all’interno della quale la molecola riesce a delocalizzare gli elettroni periferici degli atomi coinvolti. Continua...