Questo è il primo di due articoli nei quali cercheremo di esplorare la chimica e le applicazioni cliniche di una particolare classe di biomateriali: gli idrogel. L’introduzione degli idrogel come biomateriali si può far risalire al pioneristico lavoro di Wichterle e Lim del 1960 e ai loro studi sulle lenti a contatto, mentre già nel 1980 Lim e Sum riuscirono nell’impresa di utilizzarli per incapsulare delle cellule. Successivamente idrogel basati sul collagene vennero studiati per la medicazione delle ustioni e oggi, oltre a tutte queste applicazioni, sono usati anche come supporti per l’ingegneria tissutale, cioè per la produzione e riparazione di organi e tessuti. In questa prima parte daremo una definizione generale di idrogel e inizieremo ad affrontare alcune delle loro possibili applicazioni cliniche. Nella seconda parte ne approfondiremo meglio le caratteristiche chimiche, vedremo come è possibile sintetizzare materiali intelligenti che possano rispondere attivamente agli stimoli esterni e come utilizzarli per intervenire su numerose patologie.
Un idrogel biocompatibile basato su un network di poliammidoammine
Con la parola “biomateriali” si fa riferimento a materiali che sono stati ideati per uno scopo medico, sia terapeutico che diagnostico. Gli usi terapeutici dei biomateriali sono molteplici: protesi, impianti, valvole artificiali, rilascio graduale di farmaci, ma anche tissue engineering, ingegneria tissutale, cioè la creazione di supporti (scaffold) che permettano la crescita controllata e organizzata di cellule per la produzione artificiale di tessuti.
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